Il Duca di Matteo Melchiorre | Recensione

Oggi Daniela di Daniela Carletti per l’appuntamento del libro, ci parla de Il Duca di Matteo Melchiorre nell’edizione di Giulio Einaudi Editore.

Trama Il Duca di Matteo Melchiorre

Un paese di montagna, un’antica villa con troppe stanze, l’ultimo erede di un casato ormai estinto, lo scontro al calor bianco tra due uomini che non sembrano avere nulla in comune… Quanto siamo fedeli all’idea di noi stessi che abbiamo ricevuto in sorte? Matteo Melchiorre ha costruito una storia tesissima ed epica sulla furia del potere, le leggi della natura e la libertà individuale. Un romanzo che ci interroga a ogni riga sulla forza necessaria a prendere in mano il proprio destino: «il modo giusto per liberarsi del passato non è dimenticarlo, ma conoscerlo».

L’ultimo erede di una dinastia decaduta, i Cimamonte, si è ritirato a vivere nella villa da sempre appartenuta alla sua famiglia. La tenuta giganteggia su Vallorgàna, un piccolo e isolato paese di montagna. Il mondo intorno, il mondo di oggi, nel quale le nobili dinastie non importano più a nessuno, sembra distante. L’ultimo dei Cimamonte è un giovane uomo solitario che in paese chiamano scherzosamente «il Duca».

Il Duca di Matteo Melchiorre

Sospeso tra l’incredibile potere del luogo, il carico dei lavori manuali e le vecchie carte di famiglia si ritrova via via in una quiete paradossale, dorata, fuori dal tempo. Finché un giorno bussa alla sua porta Nelso, appena sceso dalla montagna. È lui a portargli la notizia: nei boschi della Val Fonda gli stanno rubando seicento quintali di legname. Inaspettatamente, risvegliato dalla smania del possesso, il sangue dei Cimamonte prende a ribollire.

Ci sono libri che fin dalle prime righe fanno precipitare il lettore in un mondo mai visto prima. L’abilità dell’autore sta nel mimetizzarsi tra le pieghe della storia, e fare in modo che abitare accanto ai personaggi risulti un gesto tanto istintivo quanto inevitabile. È quello che accade leggendo Il Duca, un romanzo classico eppure nuovissimo, epico e politico, torrenziale e filosofico, che invita a riflettere sulla libertà delle scelte e la forza irresistibile del passato. Con una voce colta e insieme divertita, sinuosa e ipnotica – inusuale nel panorama letterario nostrano – Matteo Melchiorre mette a punto un congegno narrativo dal quale è impossibile staccarsi.

Recensione di Daniela Carletti – Il Duca di Matteo Melchiorre

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«La legge di Natura»

“Il Duca” ultimo esponente di una nobile casata in via di estinzione, vive quasi da eremita nella sua proprietà di montagna in un paese sulle Dolomiti venete, Vallorgana, dove, diventando “l’archeologo di se stesso” (pag. 245), cerca di stabilire un contatto tra sé e i suoi avi, leggendone i trascorsi nelle carte ritrovate nell’archivio della villa e, in particolare, in una cronaca di famiglia di cui viene fortunosamente in possesso.

Dato il rango del narrante, non ci stupiamo se il linguaggio è aulico, né tanto meno per il ruolo dell’antagonista, Fastreda, il “capo onorario” del paese, che viene dipinto come l’officiante di una tragedia greca, in procinto di “sacrificare un capro” (apparentemente il suo gregge), sostenuto dal commento dei corifei (i valligiani).

Delineati questi tratti fondamentali, si potrebbe pensare che il Duca sia la figura di spicco del romanzo, ma da un’analisi più accurata si scopre che il suo ruolo, benché centrale, è di altra natura: trattandosi dell’“io narrante” egli si colloca in una posizione di supervisore che osserva e commenta gli eventi (che pure lo riguardano in prima persona), senza però essere il reale protagonista.

A differenza degli altri personaggi compresi quelli di secondo piano, il narratore (che qui è interno alla storia), viene nominato esclusivamente in quanto Duca di Cimamonte senza alcuna indicazione sul nome di battesimo, segno inequivocabile di un’importanza particolare. Il Duca è colui che indaga assumendo quasi, talora, le vesti di un detective: quando rovista nello studio privato del suo rivale, quando si aggira tra le lapidi del cimitero per individuare relazioni, quando convoca il suo pubblico per rivelare le sue deduzioni.

I veri protagonisti del romanzo, quelli che, consapevolmente o no muovono i fili della trama, sono descritti con esattezza e peculiarità, ritratti ognuno nella propria indole e nei propri riti: la comunità dei valligiani, la villa del Duca, la Montagna.

Se apparentemente diverse tra loro, esiste fra queste tre realtà, un denominatore comune che è la “legge di natura”.

La comunità di Vallorgana ripropone gli stessi modelli comportamentali risultanti da qualunque consorzio umano, dove per tacito assenso dettato dalla legge del più forte, emerge il potente di turno.

La villa (con le terre annesse) vista come retaggio degli avi, è il luogo delle rimembranze che, materializzandosi attraverso le cose, nel bene e nel male pretendono di rivivere “…se avevo ereditato i crediti e gli agi dei miei avi, non potevo pretendere di non ereditarne i debiti e le miserie.” (pag. 121);

“Si potrebbe essere indotti a immaginare che i miei boschi si distribuiscono sulla schiena di un drago, spintosi quassù in qualche era lontana e ricopertosi via via di polveri, sabbie, pietrisco, ghiaie e sul quale, negli ultimi secoli, siano infine cresciuti gli alberi.” (pag. 39); “…doveva trattarsi davvero della schiena di un drago…sepolto sì ma non morto, dato che i draghi possono dormire per secoli salvo poi svegliarsi” (pag. 43).

Infine la Montagna (nel testo indicata con l’iniziale maiuscola) che sovrasta ogni cosa, l’entità che si identifica con la forza dirompente della natura in tutta la sua violenza, vista però con i nostri occhi (o meglio, quelli del Duca): “Il bosco è così. Dà l’illusione di essere fermo e invece si muove. Cammina, ma così lentamente e astutamente da lasciarci per lungo tempo inconsapevoli di quel suo immenso incontrastato avanzare.” (pag. 135).

L’autore de Il Duca di Matteo Melchiorre

Ma le cose di per sé, non hanno una volontà, se non quella che noi gli attribuiamo: una slavina è una slavina e (come il bosco), si comporta come tale, senza cattiveria; ma nella visione del Duca, essa “…incanalandosi in una forra, aveva preso corsa e cattiveria diventando slavina.” (pag. 38). E siccome il Duca è l’osservatore, siamo soggetti alla sua visione, al suo pensiero ondivago quale si mostra per buona parte del romanzo, fino a quando risolvendo il conflitto interiore, egli trae le sue conclusioni continuando a confondere la realtà con il proprio sentire.

È così che, infine, senza restituire alle cose la loro reale natura, accetta il ruolo di subalterno “[I luoghi, ndr] hanno la forza inspiegabile di possedere loro le persone, e non viceversa…ora hai intorno, o dentro, che poi è la stessa cosa, il luogo che ti appartiene e al quale tu stesso…innegabilmente appartieni.” (pag. 450). La costruzione di un siffatto personaggio appare assolutamente legittima, se, tale è l’intento dell’autore; tuttavia va detto che se l’incertezza del carattere viene posta in evidenza, diventa il soggetto o, almeno, un elemento di rilievo, cosa che qui, non avviene.

Chi invece non ha dubbi è Nelso, il boscaiolo di Vallorgana, colui cioè che si integra nella natura, colui che, sentendo di farne parte, si conforma perfettamente ad essa, la vive, la interpreta, la prende per ciò che è, senza opposizione. Nelso è colui che sa dare il giusto valore alle cose, è l’ago della bilancia, il mediatore, una figura che dialoga con tutti trovando il punto di equilibrio fra le tre forze in gioco. Nessuno tuttavia, ne comprende la visione, specie il Duca benché lo definisca “l’antico filosofo”: “Era un faggio più largo che alto, il tronco era rugoso, contorto, corpulento…Le radici correvano sul pietrame tutto intorno, simili a nervi, accavallandosi in forme…

Disse Nelso che un albero così, in mezzo a un bosco, resta in piedi se serve a qualcosa. Non fosse stato utile a qualcosa i nostri vecchi, con il freddo che avevano, l’avrebbero abbattuto.” (pag. 42); “Si dedicò alla denuncia dei vizi che capita di incontrare in chi lavori nel bosco: la fretta, la furia, l’avidità, il disordine, la spericolatezza. Poi esaminò le virtù che si ricercano nel buon boscaiolo: metodo, pazienza, esercizio, fatica, precisione e senso del limite… con il bosco non si scherza” (pp. 38-39).

Perciò data la caratura del personaggio, risulta nel romanzo un certo squilibrio, tra il fare incerto del Duca e la logicità del pensiero di Nelso; cosicché quando al termine della narrazione giunge la conclusione esistenziale a cui addiviene il Duca, essa risulta quasi svuotata dell’importanza che dovrebbe assumere, in quanto conclusione.

Daniela Carletti

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