Colazione da Tiffany di Truman Capote  – Edizioni La Biblioteca di Repubblica | Recensione

Oggi ospitiamo la recensione Colazione Da Tiffany di Truman Capote in collaborazione con l’autrice Daniela Carletti – La sconfitta del tempo, che ringrazio tantissimo per la sua disponibilità.

COLAZIONE DA TIFFANY di Truman Capote

Colazione da Tiffany
Colazione da Tiffany

Trama:

60 anni e non li dimostra. Uno dei capolavori più amati della letteratura americana. La più bella storia d’amore di tutti i tempi

Quando “Colazione da Tiffany” venne pubblicato per la prima volta, nel 1958, il «Time» definì la sua eroina Holly Golightly: «la gattina più eccitante che la macchina per scrivere di Truman Capote abbia mai creato. È un incrocio tra una Lolita un po’ cresciuta e una giovanissima Zia Mame… sola, ingenua e un po’ impaurita».

Di tutti i suoi personaggi, disse Capote più tardi, lei era la sua preferita, ed è facile capire perché. Holly è una cover-girl di New York, attrice cinematografica mancata, generosa di sé con tutti, consolatrice di carcerati, eterna bambina chiassosa e scanzonata. È un personaggio incantevole, dotato di una sorprendente grazia poetica. Intorno a lei ruotano tipi bizzarri come Sally Tomato, paterno gangster ospite del penitenziario di Sing Sing; O.J. Berman, il potente agente delle star di Hollywood; il «vecchio ragazzo» Rusty Trawler; Joe Bell, proprietario di bar e timido innamorato…

Recensione a cura di Daniela Carletti

L’unico personaggio assente tra quelli che vanno in scena nelle pagine di Truman Capote in “Colazione da Tiffany”, è la protagonista Holly Golightly. O per lo meno, questa è l’idea che vuole dare di sé.

Il leitmotiv del romanzo è il suo famoso adagio “Holly Golightly in transito” che la porta a vivere svariate realtà, cercando di non far parte di alcuna di esse. Holly cerca di trovare il suo posto nel mondo, rifuggendo qualunque collocazione, da un lato per un sentimento di inadeguatezza, dall’altro paventando ogni tipo di legame affettivo, perfino con il gatto al quale per questo, non attribuisce un nome. Il personaggio vuole apparire dunque all’insegna della trasgressione.

Ma oggi, quando cioè è stato detto tutto e il contrario di tutto e la trasgressione in sé ci fa sorridere, rimane la fragilità di un essere umano vittima di un disagio esistenziale, conteso fra l’urgenza di rifuggire il dolore, e la deprimente constatazione di essere, suo malgrado, inevitabilmente soggetto alle umane passioni, come quando Holly si dilania per la morte del fratello con il quale ha vissuto la tragicità della sua fanciullezza, o quando dopo aver liberato il gatto, disperatamente dichiara “… non sapere che cos’è tuo finché non lo butti via” pag.93.

Unico antidoto concesso a se stessa, per quanto fittizio e simbolo di una felicità irraggiungibile, è la magia della luce che sotto i riflettori artificiali, brilla nelle vetrine e nelle teche di Tiffany.


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