La scuola cattolica di Edoardo Albinati – Recensione

Oggi, nel nostro appuntamento letterario, Daniela Carletti ci presenta La scuola cattolica di Edoardo Albinati edito da Rizzzoli. Scopriamo insieme cosa ci svela su questa opera!

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Recensione di Daniela Carletti di La scuola cattolica di Edoardo Albinati

«Critica di un’epoca»

I fatti si svolgono a Roma negli anni ’70, in un quartiere abitato dall’alta borghesia che si ritrova improvvisamente a vivere in un luogo in cui sono cresciuti gli esecutori materiali di quello che fu definito “il delitto del Circeo”, un delitto che scosse l’Italia intera per l’efferatezza che lo contraddistinse. 

Il titolo deriva dal fatto che gli autori del crimine si sono formati all’interno di una scuola cattolica residente nel medesimo quartiere, che nel libro viene indicata con la sigla SLM. 

Dopo quarant’anni l’autore, Edoardo Albinati, cresciuto tra gli stessi banchi, racconta in una sorta di romanzo in parte autobiografico, in parte d’invenzione, la società dell’epoca con le sue contraddizioni.

Le 1294 pagine del libro ruotano intorno a quel delitto che ebbe luogo il 29 settembre del 1975 sul litorale pontino a qualche ora di macchina da Roma, in un luogo di vacanze che, come il quartiere romano, era considerato d’elite; ma il delitto in sé viene descritto in una manciata di pagine appena, nella IV di 10 parti in cui è ripartito il testo. Il resto si avvita su un’analisi eseguita al microscopio, in cui Albinati con comprensibile ostinazione, cerca di comprendere quanto avvenne, indagandone le possibili cause, ma tornando sovente sui medesimi temi. 

Se le ripetizioni abbondano però, non si tratta di svista, quanto di una scelta: nel cap.10 della Parte III infatti, l’autore spiega che un romanzo è l’esatto contrario del caos, un nemico naturale del disordine, ma parlando di sé è inevitabile rincorrere talora gli stessi argomenti “…e più scavi a fondo, più questo sconosciuto si allontana…”, poiché in questo modo si da l’esatta dimensione del tormento di chi ha appreso di essersi formato nello stesso ambiente in cui crebbero gli assassini. Trovo però discutibile la scelta di preferire il dato quantitativo, poiché la sostanza del concetto può essere espressa a prescindere dalla mole del romanzo.

Romanzo, sì: così lo definisce Albinati (vedi “Nota” a pag.1293), che ha inserito nella sua – cronaca ragionata di un’epoca – fatti di pura invenzione, per motivi che non spiega ma che è facile intuire.

Nella sua indagine esamina i pro e i contro che intere generazioni assorbirono dal sistema sociale e dalla politica del tempo, dall’indirizzo educativo di matrice borghese impartito dalle famiglie, dal tipo di formazione adottata dall’Istituto in questione. Per questo non risparmia nessuno, professori, compagni di scuola, se stesso. C’è un intento nel racconto, che mira a condurci sul luogo del crimine, preparando la descrizione dell’eccidio, in modo da fornirci via via, riflessioni analitiche sulla natura umana e sul contesto sociale in cui il crimine è maturato.

Andrebbe tutto bene se non fosse che il libro si intitola “La scuola cattolica”. Dopo essersi scusato più volte per la prolissità “se avrete la pazienza di seguirmi …”, suggerendoci anche di saltare qua e là delle pagine, l’autore si domanda «Quanti buoni cristiani sono usciti dall’Istituto SLM?» (pag.33), la risposta è semplice – gli stessi che sono usciti da qualunque altra scuola cattolica.

La scuola cattolica

Ma aggiungerei “Quanti buoni cittadini sono usciti dal SLM?” In maniera analoga – non meno di quelli usciti da qualunque altra scuola laica o cattolica che sia. In un’epoca in cui una sorta di guerra civile veniva creata artatamente usando frange extraparlamentari di schieramento opposto, un’epoca in cui la società intera era sotto accusa e i costumi iniziavano la loro lenta agonia, voler attribuire al SLM in particolare, il prodotto di quella crudeltà, mi risulta un po’ forzato. 

A mio avviso Albinati ha scritto uno spaccato puntuale della società di quegli anni, e per quanto da lui esposto, non mi sembra che attribuisca responsabilità all’Istituto, più di quanto non faccia con il resto della società. In un’intervista rilasciata al quotidiano “Il Piccolo” l’8/07/2016 afferma «Non rimprovero nulla alla scuola che ho frequentato tranne l’eccessiva indulgenza con cui venivamo trattati. Quella specie di perdono preventivo…che crea più danni…di quanti ne risolva…certe cose vanno prese di petto, e subito». E allora perché intitolare il libro “La scuola cattolica” come fosse la sola imputata del caso? Scuola peraltro da cui anche lui, vincitore del Premio Strega nel 2016 proprio con questo romanzo, è uscito.

Credo che Albinati abbia individuato i guasti di un’epoca che, per come era organizzata, non ha fatto altro che soffiare sul fuoco di una devianza mentale conclamata, anche se scrive in senso polemico  «con la pazzia si giustifica tutto»: quella degli autori del delitto del Circeo sicuramente sì, poiché quanti Angelo Izzo sono usciti da quella scuola? Due. Il terzo dei tre criminali frequentava il “Giulio Cesare” (liceo statale). Alcuni altri studenti del SLM, che organizzavano festini orgiastici con tanto di droga e stupro, non sono purtroppo diversi dagli autori di tutti gli altri festini raccapriccianti avvenuti prima e dopo quei fatti.

Infine, se non trovo giustificazione intellettuale nel titolo, maggiormente non capisco perché nel penultimo capitolo del libro, l’autore ci racconti in modo poco chiaro, delle attenzioni ricevute da un prete (non del suo istituto). Credo che le molestie sessuali, che nel libro non sono espresse con chiarezza, vadano denunciate con forza quando si verifichino effettivamente. Ma il racconto lascia la questione in sospeso e questo, francamente, mi sembra molto scorretto.

Daniela Carletti

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