Oggi, nel nostro appuntamento letterario, Daniela Carletti ci presenta Lo Straniero di Albert Camus edito da Tascabili Bompiano. Scopriamo insieme cosa ci svela su questa opera!
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Recensione Lo Straniero di Albert Camus di Daniela Carletti
«La condanna di vivere»
— Daniela Carletti
Albert Camus (1913-1960) vincitore del Premio Nobel per la Letteratura nel 1957, nasce a Mondovì in Algeria da genitori molto poveri. Alla morte del padre, quando Albert ha appena un anno, la famiglia si trasferisce ad Algeri.
Grazie alle sue doti intellettuali, consegue ottimi risultati negli studi, benché si ammali ancora adolescente di tubercolosi.
Politicamente molto impegnato è attivo anche con i suoi scritti, in difesa dei diritti degli arabi contro la politica colonialista francese in Algeria, ed è per questo che nel 1940 è costretto a trasferirsi a Parigi.
«Lo straniero» (L’étranger), pubblicato nel 1942 dalla casa editrice francese Gallimard e scritto durante l’occupazione nazista, fa parte del “ciclo dell’assurdo” insieme a «Il mito di Sisifo» pure del 1942 e «Caligola» una pièce del 1944. «La peste» del 1947, è il suo romanzo più noto.
Camus appartiene a quella corrente culturale e filosofica definita “Esistenzialismo francese”, che si sviluppa tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale. Essa riassume l’esistenza umana in una serie di eventi che conducono inevitabilmente l’uomo attraverso le esperienze della nascita, della lotta per la sopravvivenza, della sofferenza, del trascorrere del tempo che è un male di per sé e, infine, della morte.
L’assurdo per Camus sta proprio nell’inevitabilità di questa parabola, in cui la vita diviene aberrante e insensata. E in effetti ne «Lo straniero» apprendiamo un’esistenza, quella del protagonista, che si avvita su se stessa come in una spirale di cui vediamo con chiarezza la fine.
Mersault, il protagonista che è anche l’io narrante, è un giovane uomo che vive ad Algeri. Onesto lavoratore conduce una vita grigia, priva di empatia, senza provare alcun interesse per le persone o le cose. Eppure ha una sua visione dell’esistenza che, per lui, equivale ad una serie di accadimenti scollegati tra loro, accadimenti che affronta con un certo raziocinio in base ad una logica spesso anche ingenua.
Le ragioni di quest’ottica che si estranea dalle relazioni fra gli eventi, risiedono nella necessità di evitare il dolore determinato dal male di vivere: e in effetti Mersault ci riesce benissimo, escludendo i sentimenti dalla sua quotidianità.
Ci riesce benissimo fino a quando suo malgrado, vittima di situazioni atmosferiche legate alla luce e al caldo che lo portano a confondere la realtà con il surreale, si ritrova invischiato in un caso di omicidio. Sarà a causa di questo evento inaspettato, che la coscienza di sé e del mondo che lo circonda, si farà strada prepotentemente nel suo animo.
Mersault è un “diverso” rispetto alla società paludata in inutili convenzioni morali, ma è anche estraneo a se stesso, il che si evince maggiormente dallo stile cronachistico che Camus adotta per molta parte della narrazione, proprio per mettere maggiormente in risalto il meccanicismo del quotidiano.
Mersault tuttavia, è estraneo a se stesso anche per necessità: è interessante il leitmotiv che ritorna sovente nel testo, relativo alla luce che lo acceca “Giù in strada la luce del giorno, già tutto pieno di sole, mi ha colpito come uno schiaffo.” (pag. 36), quasi che Camus abbia voluto ricondurre il dolore e la finitezza umana, all’ermetica ma sublime visione poetica di Quasimodo, contenuta nei versi de «Ed è subito sera» (1930).
In questo contesto e con tali intendimenti, Camus inventa un personaggio assurdo che vive in un mondo che lo è altrettanto. Un mondo in cui l’influenza kafkiana gioca un ruolo non da poco, specie in rapporto a «La metamorfosi» dello scrittore cecoslovacco, in cui la duplice denuncia si rivolge sia all’assurdità dell’esistenza umana, sia all’alienazione sociale che annienta le specifiche del singolo, proprio come avviene anche in quest’opera di Camus.
Mentre però Gregor Samsa (il protagonista del racconto di Kafka) è agitato da sentimenti verso ogni forma di vita compresa la sua, Mersault rimane in difesa per quasi tutta la narrazione, fino a scontrarsi con la verità schiacciante che gli apre gli occhi sulla tragicità dell’esistenza in cui ogni essere umano è già condannato. Per questo in ultima analisi, Mersault (che in francese vuol dire “salto mortale”), trova nella morte la sua personale affermazione, ponendo così una netta distanza tra sé e l’assurdità della vita, tra sé e tutti coloro che, invece, giocano un ruolo, convinti di essere i protagonisti.
Daniela Carletti
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